Se questo è un uomo (parte 1)

L'Inferno di Primo Levi iniziò il 13 dicembre 1943, il giorno in cui venne catturato dalla Milizia fascista.  Prima venne trasferito a Fossoli, Modena, e successivamente fu spostato al campo di concentramento di Auschwitz, Polonia. Il viaggio tra i due campi fu difficoltoso e straziante poiché gli uomini e le donne, circa seicentocinquanta ebrei, erano tutti stipati in un treno merci senza né acqua né cibo.

Una volta smistati e trasferiti nel proprio lager, i prigionieri furono privati di qualsiasi oggetto personale, dai vestiti alle scarpe fino al nome. Quest'ultimo sarebbe presto stato sostituito da un numero tatuato sul braccio, che  indicava la provenienza e il "nome" del prigioniero. Dopo essere stati lavati e tosati, venne fatta indossare una divisa a righe con un simbolo che variava a seconda del tipo di prigioniero. Una stella a sei punte gialla e rossa per gli ebrei, un triangolo rosso invertito per i politici e un triangolo verde invertito per i criminali. 

Dopo solo una settimana si iniziava già a perdere la propria umanità, che veniva ridotta a quella di bestia. Levi afferma che tra le varie azioni umane ad essere abbandonate la prima è l'istinto del pulito. Secondo l'autore è una perdita di energie, di calore e di tempo. Lo evidenzia quando racconta di quella mattina nelle docce dove incontra Steinlauf, un sergente dell'esercito austroungarico. Quest'ultimo si lava con cura ed energia e lo esorta a fare lo stesso, ma Levi si rifiuta. Allora il sergente gli ricorda come l'unico modo per sopravvivere e per rimare esseri umani è volerlo. Solo con la nostra volontà si può sconfiggere il nemico che tutto può toglierci, ma non quest'ultima. Levi comunque non rispetta la sua richiesta poiché ritiene che dall'inferno del lager non si possa sopravvivere.

Levi sottolinea più volte come il campo di concentramento sia l'Inferno dantesco sceso in Terra e per marcarlo lo cita più volte e fa riferimenti ad esso. Per esempio associa l'inizio del percorso all'antinferno e la vita nel Ka-Be al limbo.

Silvia S.

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